CHIMICA GENERALE 2



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Rasmol  è un programmino per la visualizzazione di molecole da scaricare sul PC
Applicazioni per il bilanciamento automatico e calcoli stechiometrici
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LEGGI PONDERALI E MODELLO ATOMICO DI DALTON
 
Le leggi ponderali sono delle leggi classiche della chimica che si riferiscono agli aspetti quantitativi delle masse delle sostanze che si combinano nelle reazioni chimiche.

Legge della conservazione della massa
Antoine Lavoisier (1789) dimostra che, durante una reazione chimica,  la massa dei prodotti è sempre uguale alla massa dei reagenti in un sistema chiuso, ovvero in una reazione chimica la massa si conserva. "Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma". 
Ad esempio se 1 g di idrogeno reagisce con 8 g di ossigeno, si formano 9 g totali di acqua.

Legge delle proporzioni definite
Joseph Proust (1799) dimostra che quando due o più elementi formano un composto, le quantità che reagiscono sono in rapporto definito e costante. 
Ad esempio nell'acqua, il rapporto tra i grammi di idrogeno e ossigeno è sempre 1:8, ovvero per ogni grammo di idrogeno ce ne sono sempre 8 di ossigeno.

Legge delle proporzioni multiple
John Dalton (1804) dimostra che quando due sostanze elementari formano più di un composto, le masse dell'uno che reagiscono con la stessa massa dell'altro stanno tra loro secondo rapporti esprimibili attraverso numeri piccoli e interi. 
Ad esempio il carbonio può unirsi con l'ossigeno formando due composti diversi, l'anidride carbonica e il monossido di carbonio. Nel primo caso 12 g di carbonio e 32 g di ossigeno possono formare 44 g di anidride carbonica. Nel secondo caso 12 g di carbonio si uniscono con 16 g di ossigeno a formare 28 g di monossido di carbonio. In entrambi i casi la quantità di carbonio resta la stessa, ma la quantità di ossigeno nell'anidride carbonica è doppia rispetto al monossido di carbonio, rapporto 2:1.

La Teoria atomica di Dalton 
fu formulata sulla base delle leggi ponderali. Secondo tale teoria la materia è costituita da atomi. Un atomo secondo Dalton era:
Indivisibile e indistruttibile.
Tutti gli atomi di una stessa sostanza sono uguali.
Gli atomi di uno stesso elemento non possono essere trasformati in un altro elemento.
Gli atomi di un elemento si combinano con atomi di altri elementi mediante una reazione chimica.

Metti alla prova le tue conoscenze
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LA STRUTTURA ATOMICA 
 
Il fenomeno dell'elettrizzazione e i primi studi
Già i greci antichi (abbiamo testimonianze di esperimenti di Talete già nel 600 a.C.) si erano accorti che alcune resine, in particolare l'Ambra, se strofinate attraggono corpi leggeri come il pelo degli animali, pagliuzze o piccoli pezzi di carta. 

Nel 1600 lo scienziato inglese William Gilbert, individuò altre sostanze che mostravano un comportamento simile all'ambra: tra queste il vetro, lo zolfo, l’ebanite e la ceralacca e decise di chiamare questi fenomeni di attrazione per strofinio "fenomeni elettrici" dal nome greco dell'ambra (elektron).

Agli inizi del 1700 l’inglese Stephen Gray, scoprì che i corpi carichi si respingevano (repulsione elettrostatica), che l'elettricità poteva essere trasportata lungo fili metallici (conduttori), che esistevano sostanze che non lasciavano scorrere il "fluido elettrico" (isolanti), e che l'elettricità si poteva trasmettere persino senza contatto (elettrizzazione per induzione). Tra i suoi esperimenti ne ricordiamo due in particolare: il primo è quello in cui dimostrava la repulsione elettrostatica (utilizzando un tubo di vetro carico riusciva a far volteggiare una piuma anch'essa carica, senza toccarla) e il secondo, il più famoso, in cui per la prima volta venne caricato per induzione persino un ragazzo.

Nella prima metà del 1700 lo studioso Charles-Francois de Cisternay du Fay individuò due tipi di energia elettrica, con comportamento opposto, che definì vetrosa (tipica di sostanze come il vetro) e resinosa (tipica di sostanze come l'ambra e la ceralacca).
In quegli anni vennero inoltre realizzate e perfezionate numerose macchine elettrostatiche.

Nel 1786 Abraham Bennet realizza lo spettroscopio a foglie d'oro, un apparecchio che permette di stabilire se un corpo è carico elettricamente.

In seguito Benjamin Franklin chiamò l'elettricità vetrosa "positiva" e quella resinosa "negativa".

Tra il 1785 e il 1791, Charles Augustin de Coulomb, utilizzando una bilancia di torsione riuscì a misurare la forza che si esercita fra due cariche elettriche a una data distanza. Tale forza venne descritta attraverso la Legge di Coulomb.

Studi successivi 
Nel 1799 Volta inventò la pila, che divenne il primo generatore statico di energia elettrica.
Nel 1826 André-Marie Ampère stabilì le relazioni tra elettricità e magnetismo e Georg Simon Ohm enunciò la legge di Ohm sulla resistenza elettrica.
Nel 1831 Michael Faraday scoprì l'induzione elettromagnetica, il principio alla base dei motori elettrici. Sviluppò infine la teoria secondo la quale l'elettricità non era un fluido, bensì una forza trasmessa da una particella di materia all'altra.
Nel 1873 James Clerk Maxwell pubblicò la propria teoria dei campi elettromagnetici.

Alcune invenzioni importanti
Negli anni 1870 videro la luce alcune delle invenzioni più importanti del XIX secolo: il telefono di Antonio Meucci (brevettato da Alexander Graham Bell), il fonografo (1877) di Thomas Alva Edison e la lampadina a incandescenza.

Tubi di Crookes e raggi catodici
A metà dell'ottocento venivano svolti molti esperimenti osservando i fenomeni associati al passaggio della corrente elettrica nei gas rarefatti.
Nel 1875 il fisico inglese William Crookes inventa un particolare tubo di vetro a forma conica, al cui interno veniva racchiuso un gas a bassissima pressione e alle cui estremità erano fissate due placche metalliche, chiamate elettrodi. Una placca era collegata al polo negativo di un potente generatore elettrico e l’altra al polo positivo. La placca negativa fu chiamata catodo (‒) e la placca positiva anodo (+). 
Quando veniva acceso il generatore elettrico si osservava una macchia fluorescente sulla parete di vetro di fronte al catodo. 
Per spiegare questi fenomeni si ipotizzò che dal catodo venissero emessi raggi di natura ignota, detti raggi catodici che, propagandosi in linea retta, andavano a colpire la parete di vetro rendendola fluorescente. 
Natura dei raggi catodici
Per definire la natura di questi raggi furono avanzate numerose ipotesi. Un esperimento svolto utilizzando tubi di crookes ed un mulinello, confermarono l'idea che i raggi avessero una massa ed una energia cinetica e fossero quindi particelle.
A tal proposito, von Helmholtz, un protagonista della ricerca scientifica ottocentesca, così si esprimeva: «Se accettiamo l’ipotesi che le sostanze elementari siano costituite da atomi, non possiamo non arrivare alla conclusione che anche l’elettricità, tanto positiva che negativa, sia formata di determinate porzioni elementari, che si comportano come se fossero atomi di elettricità».

Scoperta elettrone 
Nel 1897 Joseph John Thomson, attraverso alcuni esperimenti, svelò l’effettiva natura dei raggi catodici dimostrando che tale radiazione consisteva di particelle cariche negativamente, a cui diede il nome di «corpuscoli portatrici di elettricità» che in seguito vennero chiamati elettroni.
Riuscì anche a misurare il rapporto carica/massa di tali particelle e a dimostrare che il valore del rapporto non cambiava al variare del gas contenuto nel tubo, ovvero gli elettroni erano identici in ogni sostanza.

Modello atomico di Thomson a panettone
In base ai risultati dei propri esperimenti, Thomson propose l'idea che l'atomo fosse costituito da una sfera di carica positiva diffusa al cui interno erano sparse le cariche negative (elettroni) come l'uvetta nel panettone.

Scoperta del nucleo
Verso la fine del 1800 un nuovo fenomeno cominciava ad essere indagato grazie agli scienziati Henri Becquerel, Pierre e Marie Curie : la radioattività.
Ernest Rutherford riuscì capire e spiegare i tre meccanismi alla base della radioattività: i decadimenti alfa, beta e gamma.
Rutherford si servì delle particella alfa, da lui scoperte, dotate di una grossa massa e di carica positiva, per indagare la struttura dell’atomo proposta da Thomson
Rutherford, in un celebre discorso tenuto alla Cambridge University, disse: “It was quite the most incredible event that has ever happened to me in my life. It was almost as incredible as if you fired a 15-inch shell at a piece of tissue paper and it came back and hit you.”

Modello atomico di Rutherford planetario
Rutherford propose il nuovo modello atomico nel 1911, che, nelle sue parti fondamentali, è valido ancora oggi: al centro dell’atomo vi è un nucleo positivo in cui è concentrata quasi tutta la massa. Gli elettroni ruotano attorno al nucleo e la maggior parte dell’atomo (circa il 90%) è spazio vuoto, come un piccolo sistema solare. Questo modello prese il nome di modello planetario.

Raggi canale e scoperta del protone
Alla fine dell'ottocento Goldstein utilizzando dei tubi di Crookes modificati, aveva scoperto dei raggi con carica positiva chiamati raggi canale.
Fu grazie ad ulteriori studi di Rutherford, che si comprese che i raggi canale erano in realtà particelle positive. Nel 1920 Rutherford propose il nome di ‘protoni’. Nello stesso anno, in seguito a calcoli più accurati, Rutherford ipotizzò la presenza di una massa ulteriore all’interno del nucleo. 

Scoperta del neutrone
Nel 1932 J. Chadwick scoprirà i neutroni: la massa ipotizzata dai calcoli di Rutherford.

Esercitazioni sulla struttura di atomi, ioni, isotopi.

Caratteristiche delle onde meccaniche.
La riflessione è il fenomeno per cui un'onda, che si propaga lungo l'interfaccia tra differenti mezzi, cambia di direzione a causa di un impatto con un materiale riflettente
La rifrazione è la deviazione subita da un'onda quando passa da un mezzo a un altro nel quale la sua velocità di propagazione cambia.
La diffrazione è il fenomeno di deviazione della traiettoria di propagazione delle onde quando queste incontrano un ostacolo sul loro cammino
L'interferenza è un fenomeno che si verifica quando due onde si incontrano. Se si incontrano le creste (o i ventri) delle due onde, si ha un’interferenza costruttiva e l’ampiezza dell' onda risultante è la somma dell'ampiezza delle onde originarie. Se invece si incontrano una cresta e un ventre le ampiezze si sottraggono.
Interferenza 1 (vedi al minuto 4.30)
Interferenza 2 (simulazione)

Le Teorie ondulatoria e corpuscolare (particellare) della luce
Alla fine del seicento furono formulate due teorie sulla natura della luce. Secondo lo scienziato Christiaan Huygens la luce aveva le caratteristiche di un'onda mentre secondo Newton era formata da corpuscoli.
Formulata da Isaac Newton alla fine del 1600, la luce veniva vista come composta da piccole particelle di materia (corpuscoli) emesse in tutte le direzioni.
Secondo questa teoria i corpuscoli di luce si propagano in linea retta, ragione per cui gli oggetti illuminati producono un'ombra.
La riflessione veniva spiegata tramite l'urto elastico della particella di luce sulla superficie riflettente.
La rifrazione era dovuta alle forze di attrazione della superficie riflettente che inducevano un aumento di velocità e un cambiamento di direzione dei corpuscoli di luce.
I colori dell'arcobaleno venivano spiegati tramite l'introduzione di un gran numero di corpuscoli di luce di dimensione diverse (una per ogni colore) ed il bianco era pensato come formato da tante di queste particelle. La separazione dei colori ad opera, ad esempio, di un prisma era dovuto all'effetto della gravità sulle diverse particelle.
La teoria corpuscolare non era però in grado di spiegare correttamente i fenomeni di deviazione della traiettoria della luce quando incontra un ostacolo (diffrazione), fenomeno che invece viene attribuito alle onde.

Natura ondulatoria della Luce
Nel 1801 Thomas Young attraverso l'esperimento della doppia fenditura dimostrò la natura ondulatoria della luce.

Teoria elettromagnetica di Maxwell
Alla fine del 1800 Maxwell propose la sua teoria che unificava i fenomeni elettrici e magnetici, secondo la quale le onde luminose sono onde elettromagnetiche (formate da oscillazioni non di particelle ma del campo elettrico e magnetico), che si muovono alla velocità di circa 300.000 km al secondo attraverso un mezzo chiamato etere, e che la luce visibile è solo una piccola parte dell'insieme di tutte le onde elettromagnetiche esistenti (lo spettro elettromagnetico).
In seguito si scoprì anche che le onde elettromagnetiche non necessitano di un mezzo per la loro propagazione (non esiste l'etere) e quindi viaggiano anche nel vuoto.

“Ormai in fisica non c’è più nulla di nuovo da scoprire. Tutto ciò che rimane da realizzare sono misure sempre più precise” (Lord Kelvin)
Alla fine dell'ottocento a livello scientifico si giunge alla conclusione che la materia è discontinua, ovvero fatta da particelle separate tra loro mentre le varie forme di energia, tra cui la luce e i fenomeni elettromagnetici sono caratterizzate dalla continuità.
Inoltre, grazie alle scoperte di Newton sulla Gravità e la Dinamica (le famose tre leggi di Newton), grazie alle scoperte di Maxwell sull'Elettromagnetismo e alle scoperte di Stephan Boltzmann sul comportamento delle particelle nella realtà microscopica, gli scienziati erano convinti di aver scoperto tutto il possibile. Era il periodo della rivoluzione industriale, c'era una grande fiducia nella scienza le cui scoperte stavano dando un grande impulso allo sviluppo economico dell'umanità.
Si era convinti che conoscendo la posizione e la velocità di tutte le particelle di un certo fenomeno si poteva predire tutto quello che sarebbe successo (predire il futuro e persino capire il passato di un sistema fisico). 

Il corpo nero 
Nel 1862 lo scienziato Gustav Kirchhoff introdusse il concetto di "corpo nero". Per capire cos'è un corpo nero è necessario prima ricordare che la luce, quando interagisce con la materia, può essere riflessa, assorbita o riemessa (dopo essere stata assorbita). 
In fisica, un corpo nero è un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente, senza rifletterla, e di conseguenza, per la legge di conservazione dell'energia, riemette tutta l'energia assorbita.
Negli esperimenti in laboratorio un corpo nero è costituito da un oggetto cavo mantenuto a temperatura costante (una sorta di forno) le cui pareti interne emettono e assorbono continuamente radiazioni su tutte le possibili lunghezze d'onda dello spettro elettromagnetico.
La radiazione emessa da un corpo nero viene detta "radiazione del corpo nero" e la densità della radiazione emessa in funzione della frequenza (o la lunghezza d'onda) è detta "spettro del corpo nero" ed ha la caratteristica forma a campana (più o meno asimmetrica e più o meno schiacciata). 
Del corpo nero alla fine dell'ottocento si conoscevano due proprietà ottenute sperimentalmente.
Secondo la legge di Stefan Boltzmann l'energia totale irradiata di un corpo nero è proporzionale alla (quarta potenza della) temperatura del corpo.
Secondo la legge dello spostamento di Wien, lo spettro del corpo nero possiede un picco (un massimo di emissione) che all'aumentare della temperatura si sposta verso lunghezze d'onda minori.

Legge di Wien e temperature delle stelle.
Dalla legge di Wien si deduce che al variare della temperatura del corpo varia il picco delle frequenze emesse e che quindi il colore di un corpo nero varia al variare della sua temperatura.
Si introduce quindi il concetto "di temperatura di colore", quale la temperatura cui corrisponde un ben determinato massimo di emissione. Questo è per esempio il metodo utilizzato per capire quale sia la temperatura di forni particolarmente potenti per i quali è chiaramente impossibile pensare all'utilizzo di un comune termometro. In pratica, più caldo è un oggetto, più corta è la lunghezza d'onda a cui questo emetterà radiazione. Per esempio, la temperatura superficiale del Sole è di 5 777 K (5 504 °C), il che dà un picco massimo di emissione a 501,6 nanometri (1,975×10−5 in) corrispondente al colore ciano-verde.

Il problema del corpo nero e la nascita della meccanica quantistica
Nel 1900 Planck, studiava la radiazione emessa dal corpo nero per la quale, usando le conoscenze del tempo e le equazioni di Maxwell secondo cui l'energia di un'onda dipende dalla sua ampiezza e può variare con continuità, non si riusciva a trovare un modello matematico che riuscisse a descriverla. 
Dopo numerosi tentativi, Planck sviluppò un modello matematico ipotizzando che la materia e in particolare gli atomi del corpo nero assorbissero ed emettessero energia (E) non in modo continuo, come pensavano gli scienziati del tempo secondo la teoria classica, ma in quantità elementari (pacchetti) e che tale energia dipendesse non dall'ampiezza dell'onda ma dalla sua frequenza, secondo la relazione 
dove h (costante di Planck) viene detta “quanto di azione”.
All'epoca non esisteva nessuna giustificazione teorica per questa scelta, che però permetteva di risolvere il problema del corpo nero e riproduceva esattamente i dati sperimentali ed era in accordo sia con la legge di Stephan Boltzmann che di Wien. 
Lo stesso Planck era perplesso al riguardo, pensava che non fosse la luce ad essere fatta a pacchetti ma che fosse la materia ad assorbire solo pacchetti di energia e affermò di aver sviluppato la sua ipotesi per "un atto di disperazione". 

"Fu un atto di disperazione. Avevo già lottato per sei anni con il problema del corpo nero. Sapevo che il problema era fondamentale e ne conoscevo la legge; una spiegazione teorica doveva trovarsi a qualunque costo... I miei vani tentativi di riconciliare in qualche modo il quanto elementare con la teoria classica continuarono per molti anni e mi costarono grandi sforzi".

La relazione di Planck era rivoluzionaria perché esprimeva un legame fra l’energia E ceduta da un corpuscolo “puntiforme” e la frequenza di un campo elettromagnetico. 
Purtroppo però, nonostante il modello matematico di Planck fosse in accordo con i dati sperimentali, per molti anni gli scienziati non riuscirono a credere alla quantizzazione dell'energia.

Modello del corpo nero di Rayleigh e Jeans e la catastrofe ultravioletta
Nel 1905 gli scienziati  Rayleigh e Jeans presentarono la loro legge, che era in accordo con i dati sperimentali alle basse frequenze (erano in grado di riprodurre matematicamente la curva solo alle basse frequenze) ma che alle alte frequenze predicevano che la materia emettesse energia infinita, la "catastrofe ultravioletta".
Nonostante i modelli matematici dell'epoca non fossero completi, ci vollero molti anni prima che le idee di Planck venissero universalmente accettate.

Effetto fotoelettrico.
Nel 1902 Philipp Lenard producendo una luce incidente su una superficie metallica fece le seguenti osservazioni. 
Innanzitutto la radiazione incidente in alcuni casi provocava emissione di elettroni. 
Tale emissione però avveniva solo quando si raggiungeva una frequenza soglia diversa per ogni metallo. Ad esempio i raggi ultravioletti (alta frequenza) avevano effetto mentre gli infrarossi (bassa frequenza) no. Inoltre, una volta raggiunta la soglia, aumentando la frequenza della radiazione incidente aumentava anche l'energia cinetica degli elettroni.
Tale fenomeno era in disaccordo con la teoria classica secondo cui l'energia di una radiazione elettromagnetica non dipende dalla frequenza.
Inoltre l'effetto era indipendente dalla intensità luminosa (cioè dalla quantità di radiazione emessa). Ad esempio i raggi ultravioletti avevano effetto anche a bassa intensità mentre gli infrarossi nemmeno con intensità altissime.
Anche tale fenomeno era in disaccordo con la teoria classica secondo cui l'energia di una radiazione varia in modo continuo e quindi un elettrone, ricevendo una qualsiasi radiazione di intensità crescente, col tempo avrebbe accumulato energia fino ad averne una quantità sufficiente per allontanarsi dal metallo.
Inoltre, usando radiazioni UV e aumentando l'intensità della radiazione, ciò non aumentava l'energia cinetica degli elettroni (come si sarebbe atteso secondo la teoria classica) ma aumentava solo il numero di elettroni che venivano estratti dal metallo.
Era come se gli elettroni ricevessero solo quantità di energia definite, senza poterle accumulare, e solo certi valori di energia producevano degli effetti.  
Applicazioni attuali di questo effetto sono ad esempio le cellule fotoelettriche e pannelli fotovoltaici.

Interpretazione di Einstein dell'effetto fotoelettrico e natura particellare della luce 
Nel 1905 Albert Einstein spiegò l'effetto fotoelettrico con l'ipotesi che la radiazione elettromagnetica quando scambia energia con gli elettroni del metallo si comporta come una particella, che chiamò "quanto di energia" (poi rinominato nel 1926 fotone), la cui energia è proporzionale alla frequenza dell'onda corrispondente, così come aveva ipotizzato Planck. 
Erano proprio questi fotoni che solo ad alte frequenze fornivano agli elettroni l'energia sufficiente per allontanarsi dagli atomi del metallo. 
Aumentare l'intensità luminosa faceva aumentare il numero di fotoni prodotti con energia sufficiente e di conseguenza il numero di elettroni estratti. 
Fotoni con energie troppo basse non venivano nemmeno assorbiti dagli elettroni che quindi non acquisivano energia sufficiente. Un fenomeno "o tutto o niente".
In definitiva l'energia di una radiazione elettromagnetica monocromatica è E = nhv dove hv è l'energia di un fotone e n è il numero dei fotoni.
Va ricordato però che questa rivoluzionaria interpretazione di Einstein non fu compresa e apprezzata a fondo dalla comunità scientifica internazionale fino alle dimostrazioni  sperimentali compiute da Robert Millikan tra il 1914/16, in seguito alle quali venne attribuito il Nobel ad Einstein nel 1921 e a Millikan nel 1923.

1905 Annus Mirabilis

Interferenza del singolo fotone
Nel 1909 Geoffrey Ingram Taylor dimostra che le figure di interferenza della luce vengono generate anche quando l'energia introdotta consiste in un solo fotone. 

Spettri di emissione e di assorbimento
Lo "spettro" in chimica e fisica è la figura creata dalla scomposizione delle radiazioni elettromagnetiche provenienti da una sorgente luminosa in funzione della lunghezza d'onda (o, il che è equivalente, della frequenza) mediante il passaggio attraverso un prisma di vetro. Il ramo della chimica e della fisica che si occupa dello studio degli spettri e delle tecniche per realizzarli si chiama spettroscopia.
Fu Newton il primo a realizzare la scomposizione della luce attraverso un prisma e a descrivere tale fenomeno nel 1704 nel suo trattato sull'ottica. 
Uno spettro prodotto da una lampada a incandescenza è definito "continuo" in quanto la luce contiene tutte le lunghezze d'onda.
Nel 1802 il fisico W. H. Wollaston, nel corso di un esperimento sulla dispersione e rifrazione nel vetro, fu il primo a notare un fatto strano, cioè la presenza di righe nere dentro lo spettro prodotto da un fascio di luce solare quando attraversava un prisma. La loro posizione era sempre la stessa ma la loro origine non era chiara.
Nel 1814, il fisico Tedesco Fraunhofer riuscì a classificare fino a 570 righe nere nello spettro del sole.
Nella metà dell'Ottocento, Kirchhoff e Bunsen, utilizzando uno spettroscopio di loro costruzione, stavano studiando gli spettri di emissione di alcuni sali che venivano fatti bruciare.
La figura mostra il primo sistema di visione degli spettri (spettroscopio) di Kirchhoff e Bunsen. Sul becco Bunsen D veniva fatta bruciare una sostanza sistemata su un sostegno E; un oculare B (collimatore) raccoglie la radiazione emessa e, tramite un prisma o un reticolo F o G, la invia ad un secondo oculare C (cannocchiale) da cui si può osservare (o registrare con carta fotografica) lo spettro ottenuto. 
Gli spettri che venivano osservati erano discontinui, ovvero venivano prodotte solo alcune righe colorate, tipiche di ogni sostanza.
In seguito gli studiosi decisero di orientare il proprio strumento verso il sole notando una evidenza interessante, le righe nere dello spettro del sole si sovrapponevano alle righe emesse da alcuni sali quando bruciavano. 
Kirchhoff pertanto affermò:
"Concludo quindi che le linee scure dello spettro solare nascono dalla presenza nella infuocata atmosfera del Sole, di quelle sostanze che nello spettro di una fiamma presentano le linee brillanti nella stessa posizione".
Kirchhoff enunciò tre leggi:
1) Prima legge: un corpo solido o liquido o un gas molto denso, portati all’incandescenza, emettono radiazioni a tutte le lunghezze d’onda dando uno spettro continuo. 
2) Seconda legge: un gas rarefatto incandescente dà uno spettro di emissione discontinuo emettendo radiazioni solo a determinate lunghezze d’onda tipiche degli elementi o dei composti presenti nel gas.
3) Terza legge: un gas rarefatto, di fronte a una sorgente di radiazione continua a temperatura maggiore, dà uno spettro di assorbimento a righe alle stesse lunghezze d’onda presenti nello spettro di emissione.
(Sappiamo che in seguito Kirchhoff presenterà l'idea di corpo nero e utilizzerà il suo spettroscopio per l'analisi chimica delle sostanze attraverso lo studio degli spettri).
Non si conoscevano però ancora le ragioni della formazione di tali righe di emissione e di assorbimento.

Limiti del modello atomico di Rutherford.
Il modello che Rutherford aveva fornito dell'atomo spiegava molti fenomeni fisici ma possedeva anche grandi limiti. Ad esempio non era in grado di spiegare come si distribuissero gli elettroni intorno al nucleo, in che modo si originassero gli spettri di emissione e di assorbimento delle sostanze (come ad es. l'idrogeno) e non spiegava perché l'elettrone, che ruotava (moto accelerato) intorno ad un nucleo atomico, non perdesse la propria energia (come predetto dalla teoria classica) emettendo radiazione fino a cadere nel nucleo. 
Fu uno studente di Rutherford, Niels Bohr a risolvere, nel 1913, le difficoltà del modello del suo maestro, spiegando anche la struttura dello spettro atomico dell'idrogeno. 

Spettri di emissione dell'idrogeno e serie di Balmer
Nel 1885, Johann Balmer, un matematico e fisico svizzero, intraprese lo studio delle righe spettrali dell’idrogeno. Lo spettro dell'atomo di idrogeno è l'insieme delle lunghezze d'onda che l'atomo di idrogeno è capace di emettere quando il gas viene riscaldato. 
Balmer notò che le lunghezze d’onda dello spettro visibile dell’idrogeno seguivano una relazione matematica precisa, ora nota come la formula di Balmer: questa formula permetteva di calcolare esattamente le lunghezza d'onda delle righe dello spettro visibile di idrogeno (serie di Balmer) e suggeriva che c’era una struttura sottostante nell’atomo che determinava la posizione di queste righe.
In seguito si scoprirono relazioni matematiche anche per gli spettri che l'atomo di idrogeno emetteva nell'infrarosso e nell'ultravioletto.
Nel 1889 il fisico svedese Johannes Rydberg generalizzò, con la formula di Rydberg, tutte le altre formule (la serie di Lyman K (n = 1) nell'ultravioletto, la serie di Balmer L (n = 2) nel visibile e quelle di Paschen M (n = 3) dell'infrarosso.
Nonostante queste formule riuscissero a calcolare esattamente gli spettri dell'idrogeno, nessuno sapeva quale fosse il motivo per cui funzionavano, né si sapeva a cosa corrispondessero nell'atomo le lettere n e m.

Modello atomico quantizzato dell'atomo di idrogeno
Nel 1913, Bohr formulò il suo modello atomico allo scopo di spiegare lo spettro dell'atomo di idrogeno, i risultati trovati da Balmer e le scoperte di Rutherford.
Bohr propose tre postulati 
1) Gli elettroni non possono occupare qualsiasi posizione intorno al nucleo ma ruotano a determinate distanze fisse (orbite quantizzate, stazionarie) con energia definita e costante.
2) Gli elettroni che si muovono su tali orbite non irraggiano e quindi non emettono energia (contrariamente a quanto previsto dall'elettromagnetismo classico)
3) Un elettrone atomico irraggia energia soltanto quando passa (mediante un salto quantico discontinuo) da un'orbita stazionaria a un'altra. Nel caso di assorbimento di fotoni, l'elettrone acquista energia e quindi salta da un'orbita più interna (a più bassa energia) ad un'orbita più esterna (a più alta energia), mentre quando l'elettrone torna da un'orbita più esterna verso un'orbita più interna allora emette un fotone. Maggiore è il salto compiuto degli elettroni tra le orbite e maggiore è l'energia del fotone emesso o assorbito e maggiore è la sua frequenza che viene registrata nello spettro.
A partire da queste premesse, Bohr riuscì a calcolare i valori di energia delle orbite e dimostrò che le differenze di energia tra le orbite corrispondevano effettivamente alle energie dei fotoni emessi dall'atomo di idrogeno.
A cosa corrispondono quindi le righe dello spettro dell'idrogeno? Alle frequenze dei fotoni emessi durante i salti dell'elettrone tra le orbite.
E cosa indicavano quindi le lettere n ed m?
Le orbite vengono indicate con i numeri quantici n=1, n=2, n=3, n=4 etc.
Quando l'elettrone dopo essere stato eccitato tornava da livelli superiori m verso la prima orbita n=1, venivano emesse radiazioni corrispondenti alla serie di Lyman (UV), quando tornava da livelli superiori m alla seconda orbita n=2, venivano emesse le radiazioni descritte dalla serie di Balmer (VIS), quando tornava alla terza orbita n=3, emetteva radiazioni della serie di Paschen (IR). Col tempo vennero trovate altre serie che corrispondevano a tanti salti che potevano compiere gli elettroni.

Effetto Compton
L'esperimento di Compton del 1922 consisteva nell'invio di un fascio di fotoni (raggi X) su un bersaglio di grafite e nell'osservazione dello spettro (cioè le lunghezze d'onda) dei fotoni diffusi (che venivano deviati, cioè riflessi, dalla grafite).
Quello che vide Compton fu che, dopo aver colpito la grafite, alcuni fotoni mantenevano la stessa λ (come fanno le onde della teoria classica quando vengono riflesse), mentre altri fotoni avevano invece lunghezza d'onda maggiore e quindi di frequenza (f) minore (meno energetici) di quella che avevano in precedenza.
Tale fatto non era spiegabile secondo la teoria classica dell'elettromagnetismo secondo cui quando una radiazione viene riflessa non varia la sua frequenza.
L'unico modo di spiegare questo effetto è ammettere che sia valida la teoria quantistica della luce di Einstein, pensando ai fotoni come a particelle che urtando contro gli elettroni presenti negli atomi del bersaglio, cedono loro parte della propria energia e vengono rimbalzati con una energia (frequenza) minore.

Luis De Broglie e l'ipotesi sulla natura ondulatoria della materia
Nel 1923 Luis De Broglie, uno scienziato francese, nella sua tesi di dottorato si chiese "Se la luce è fatta di fotoni, vuoi vedere che le particelle sono fatte da onde?" 
In seguito alle sue scoperte Einstein disse "Ha sollevato un lembo del grande velo".
De Broglie ipotizzò che alle particelle dotate di massa come gli elettroni, sono associate anche proprietà fisiche tipiche delle onde, ovvero possiedono una lunghezza d'onda data dalla relazione λ=h/mv 
in cui:
h = costante di Planck = 6,626 · 10-34 (J · sec);
m = massa dell'elettrone = 9,11 · 10-31 kg
v = velocità dell'elettrone (m/s)
Le onde associate all'elettrone, e a qualsiasi particella in movimento, sono chiamate onde di materia.
L'ipotesi di De Broglie ha due conseguenze importantissime. 
1) Sulla base delle sue ipotesi De Broglie riesce a spiegare la quantizzazione proposta da Bohr per l'orbita dell’elettrone nell’atomo di idrogeno. Gli elettroni non possono occupare orbite qualsiasi ma solo alcune ben precise.
Se gli elettroni si comportano come onde allora in un'orbita non possono esserci un numero qualsiasi di oscillazioni dell'onda altrimenti l'orbita non si chiude e si forma interferenza distruttiva. Sono possibili solo un numero intero di oscillazioni per orbita.
2) Se gli elettroni sono onde allora se passano attraverso una fenditura abbastanza piccola dovrebbe subire diffrazione, mentre passando attraverso due fenditure dovrebbero dare una figura di interferenza. 
3) Tutti i corpi hanno una lunghezza d'onda! L'onda associata alla materia assume lunghezze d'onda misurabili e rilevanti solo con masse molto piccole, mentre nei corpi con massa grande la lunghezza d'onda diventa infinitesima e quindi irrilevante. Si stanno tutt'oggi svolgendo esperimenti per comprendere quali dimensioni limite deve avere un oggetto per mostrare proprietà quantistiche.
Quindi gli oggetti molto piccoli posso essere descritti dalla meccanica quantistica e gli oggetti grandi dalla meccanica classica.

Conferma delle ipotesi di De Broglie e l'interferenza quantistica
Nel 1927 l'ipotesi di De Broglie venne confermata dagli esperimenti di C.J. Davisson e L.H. Germer negli USA. Essi dimostrarono che un fascio di elettroni accelerati subisce, da parte di un reticolo cristallino, fenomeni tipicamente ondulatori: la diffrazione.
Più tardi ci furono conferme da parte di Otto Stern utilizzando invece atomi di Sodio.
Si dimostrò per cui che tutte le particelle possono mostrare comportamenti ondulatori, estendendo anche alla materia il dualismo onda-particella già introdotto da Einstein per la luce.
Nel 1974 ci fu una ulteriore conferma grazie all'esperimento svolto da Pier Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi a Bologna, svolto inviando un elettrone alla volta sulla lastra fotografica attraverso due fenditure. L'elettrone, come il fotone dell'esperimento del 1909 di Geoffrey Ingram Taylor, fa interferenza con se stesso. 
L'interferometria con la tecnica delle due fenditure per le particelle quantiche ha raggiunto col tempo livelli di eccellenza. 
Nel 2012 al Vienna Center for Quantum Science and Technology è stato pubblicato un risultato con la ftalocianina (una molecola molto grande). 
«Una volta si pensava che l'elettrone si comportasse come una particella e si scoprì poi che, sotto molto aspetti, si comporta come un'onda. Cosicché in realtà non si comporta in nessuno dei due modi. Ora abbiamo lasciato perdere. Diciamo: "non è né l'una né l'altra cosa". Fortunatamente c'è uno spiraglio: gli elettroni si comportano esattamente come la luce. Il comportamento quantistico degli oggetti atomici (elettroni, protoni, neutroni e così via) è lo stesso per tutti, sono tutti "onde-particelle", o qualunque altro nome vi piaccia dar loro.»
(Richard P. Feynman, La Fisica di Feynman - 3 Meccanica quantistica, 1966)

Il principio di indeterminazione di Heisenberg
Il principio di indeterminazione di Heisenberg, formulato dal fisico tedesco Werner Heisenberg nel 1927, stabilisce che è impossibile conoscere simultaneamente con precisione due grandezze coniugate come ad es. la posizione e la quantità di moto (o momento) di una particella elementare.
Questo principio è una conseguenza della natura ondulatoria delle particelle subatomiche. Semplificando al massimo, si può affermare che l'elettrone, essendo un'onda, è delocalizzato.
"Elementary particles are not real; they form a world of potentialities or possibilities rather than one of things and facts.’’ (W. Heisenberg)

La funzione d'onda Ψ di Erwin Schrödinger
Nel 1926, dopo la lettura degli articoli di De Broglie ed Einstein, E. Schrödinger propose un nuovo modello in cui descrisse il comportamento di un elettrone orbitante attorno al nucleo di un atomo come quello di un’onda stazionaria. 
Propose, quindi, un’equazione, detta equazione d’onda con la quale rappresentare l’onda associata all’elettrone. Tale onda potrebbe essere immaginata come ottenuta dalla vibrazione di una corda chiusa su se stessa.
Le soluzioni di questa equazione, dette funzioni d’onda Ψ non hanno un definito significato fisico, ma ad esse è associato un ben determinato valore dell’energia che corrisponde agli stati stazionari.
Il movimento dell’elettrone orbitante attorno al nucleo è tridimensionale, per cui è caratterizzato da tre costanti, dette numeri quantici, indicate con n, l ed m.
Schrödinger aveva trovato una spiegazione di ciò che Bohr era stato costretto a imporre come semplice postulati.

Interpretazione di Max Born del significato fisico della funzione d'onda
Secondo l'interpretazione di Born del 1926 la funzione d'onda indica la densità di probabilità di trovare una particella in un dato punto.
Le funzioni d’onda degli elettroni presenti nell’atomo si dicono orbitali atomici. La nozione di orbita verrà per cui sostituita con quella di orbitale, ovvero la regione di spazio intorno al nucleo con la più alta probabilità di trovare l'elettrone.

Interpretazione di Copenaghen 
L'interpretazione di Copenaghen nasce dalla necessità di avere un quadro teorico complessivo delle scoperte fatte fino a quel momento, è una delle interpretazioni più influenti e ampiamente accettate della meccanica quantistica. Prende il nome dalla città danese in cui si tenne una serie di incontri tra i fondatori della teoria quantistica, inclusi Niels Bohr e Werner Heisenberg, negli anni '20 e '30.
Uno degli elementi chiave dell'interpretazione di Copenaghen è il concetto di sovrapposizione quantistica, in cui una particella può esistere in più stati simultaneamente fino a quando non viene misurata, momento in cui il suo stato si "cristallizza" in uno stato definito. Questo porta alla famosa idea del "collasso della funzione d'onda", in cui la misurazione causa una transizione dalla sovrapposizione di stati a uno stato definito.

Orbitali
Gli orbitali sono regioni di spazio intorno al nucleo atomico in cui esiste una maggiore probabilità di trovare un elettrone. Questi orbitali sono descritti da un insieme di numeri quantici che specificano le proprietà quantistiche degli elettroni in un atomo. I principali tipi di orbitali sono denominati s, p, d e f.

Orbitali s: hanno una forma sferica e sono più vicini al nucleo. Possono contenere massimo 2 elettroni.
Orbitali p: hanno una forma a doppio lobo e sono 3, orientati lungo gli assi x, y e z. Ogni orbitale p può contenere un massimo di 2 elettroni, per un totale di 6 elettroni. 
Orbitali d: hanno forme più complesse e possono contenere fino a 10 elettroni. 
Orbitali f: hanno forme ancora più complesse e possono contenere fino a 14 elettroni. 

Inoltre essi sono descritti da numeri quantici:

Numero quantico principale (n): Specifica il livello di energia dell'orbitale e il suo raggio medio dall'atomo. I valori di n sono interi positivi (1, 2, 3, ...).
Numero quantico del momento angolare orbitale (l): Specifica la forma dell'orbitale e il suo momento angolare. I valori di l sono compresi tra 0 e n-1. Ad esempio, se n = 2, i valori di l possono essere 0 o 1.
Numero quantico del momento angolare magnetico (ml): Specifica l'orientamento spaziale dell'orbitale in uno spazio tridimensionale. I valori di ml variano da -l a +l, inclusi lo 0.
Numero quantico di spin (ms): Specifica l'orientamento intrinseco dell'elettrone nel suo orbitale. Può avere solo due valori: +1/2 (spin "su") o -1/2 (spin "giù").

Energie di ionizzazione e Configurazione elettronica
La ionizzazione è un processo fondamentale che coinvolge la rimozione di uno o più elettroni da un atomo o una molecola, trasformandoli così in ioni positivi. Questo fenomeno può verificarsi attraverso vari meccanismi, come l'interazione con radiazioni ionizzanti o con altre particelle cariche, o tramite collisioni ad alta energia. L'energia richiesta per rimuovere un elettrone da un atomo viene chiamata energia di ionizzazione, e dipende dalla configurazione elettronica dell'atomo stesso.
La configurazione elettronica di un atomo descrive come gli elettroni sono distribuiti negli orbitali atomici. 
La configurazione elettronica di un atomo influenza direttamente le sue proprietà chimiche e fisiche. Ad esempio, gli elementi che condividono la stessa configurazione elettronica tendono ad avere proprietà simili e ad appartenere alla stessa famiglia nella tavola periodica degli elementi. Inoltre, la configurazione elettronica influisce sull'energia di ionizzazione di un atomo, poiché gli elettroni più esterni sono generalmente più debolmente legati al nucleo e richiedono meno energia per essere rimossi rispetto a quelli più interni.

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